
Così succede che ho fatto una gara oggi. In questi ultimi mesi ho riflettuto a lungo sul mio legame con la corsa, nelle tante ore passate inseguendo la strada delle mie colline.
Ogni giorno che vado, caparbia e tenace, mi chiedo perché sto andando, e la risposta che mi do è che so che non potrei farne a meno. In questa parte della mia vita correre fa parte della stabilità e della sanità mentale che ho, uno spazio di gioia e di fatica che non conosce paure nè dubbi. C’è una frase che rende bene l’idea: “Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. (Haruki Murakami)”. Corro e cerco il vuoto, cerco la libertà, ma nello stesso tempo il corpo e la mente sono portati a un livello di ricettività e di sensibilità che mi rendono consapevole di ogni mia sensazione e di ogni cosa che accade nel mio corpo e nelle gambe, del cambiamento del fiato, del crescere del respiro, delle gocce di sudore, di ogni buchetta della strada, dei passaggi di dislivello. I miei pensieri si dilatano e riesco ad avere una visione completa della mia vita, delle situazioni che vivo, dei problemi che ho. Corro, cerco il vuoto, trovo il pieno di pensieri e sensazioni.
Il mio amore per la corsa è profondo, e ricambiato. Ormai so con certezza che non sarò mai una campionessa nè sarò mai io a scrivere la storia del podismo, ma la corsa fa parte della mia storia. Questa cosa mi rende libera di essere sempre e comunque contenta di quello che viene, senza troppe aspettative o attese o ansia.

La sveglia alle cinque. Apro gli occhi un secondo prima, sensibile come una gatta (da quando sono nati i figli non ho mai più dormito come da ragazza), i movimenti subito pronti e coordinati, prima cosa il caffè, poi il rito della vestizione tutte le cose già pronte e pensate per non dovere sbagliare nulla. Esco fuori, ancora è piena notte, ancora il vento caldo spazza il parcheggio di fianco a casa mia, passa un gatto, sento i galli che cantano. Arriva rumoroso il pulmino, nel silenzio del paese ancora addormentato, i miei compagni sono assonnati e accoglienti, mi accomodo al mio posto e la guida arzilla di Renato mi sveglia definitivamente. Due ore di strada fra chiacchiere, musica, caffè e risate, arriviamo che pensavo peggio e invece no, non mi sento stanca. Anche se poco, ho dormito profondamente, il mio corpo ha capito che doveva riposare prima della battaglia e mi è venuto incontro.
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