L’unica volta che ho incontrato Pantani, io avrò avuto poco più di vent’anni, e anche lui, perché avevamo la stessa età. Lui passeggiava sulla spiaggia di Cesenatico con due suoi amici. Stava già cominciando ad essere famoso e la gente lo indicava. Lo ricordo minuto, un fascio di muscoli, con il segno bianconero dell’abbronzatura della maglietta e del pantaloncino. Sorrideva e camminava svelto. Quando si passava davanti alla sua villa, c’erano sempre fans affezionati ad aspettarlo. Non io, che all’epoca badavo poco alla sua figura. Ma per gli appassionati stava diventando leggenda, per quella capacità unica di soffrire e di essere il più forte, ma così vicino, così umano. Una vacanza in montagna,il pomeriggio davanti alla tele, il 1998 e lui che trionfava al Giro. Ed io che lo rispettavo come rispetto quelli forti, ma forti, di un´altra galassia.

Un altro flash: il 14 di febbraio 2004, le notizie della televisione, un San Valentino amaro e incredulo. Il senso di vuoto di quando se ne va uno giovane, uno della tua età, uno che ti ha sempre accompagnato, così senza salutare, senza rimedio, senza capire. Pensare dove sta la fregatura di essere stato quel genio assoluto della sofferenza.
Qui a Cesenatico, da dove scrivo ora, e da dove ho la ventura di passare le mie estati, è rimasto tanto orgoglio di lui. Nessuno lo ha dimenticato. Ogni giorno passo davanti al suo monumento sulla bici. I miei bambini mi hanno chiesto chi fosse, ed io ho detto era il numero uno, era quello che per soffrire di meno andava più forte di tutti.
Così qualche settimana fa ho deciso di affrontare questa salita, con un rispetto e un timore che mi mangiavano dentro. Mi chiedevo se sarei stata all’altezza di solcare questi luoghi mitici, ma per me la vera forza sta nell’anima prima che nei muscoli, e in questo momento il cuore mi sostiene.
Incoscienza, desiderio, paura. Non sono tutte uguali le gare, e questa è una gara che per molti rappresenta qualcosa in più e che tanti amici mi hanno raccontato come ineguagliabile ed emozionante.
Al primo chilometro volevo tornare indietro, ho pensato ma dove vado? Il fiato corto, il cuore che martella, le gambe che non tirano. Aiuto! E qualcuno è venuto ad aiutarmi davvero, un angelo, un buon samaritano, un alleato che mi ha sostenuto e guidato nel portare a termine quei quasi sette chilometri di delirio che conducono alla sommità. Pochissime parole, non mi avanzava un fiato. Grazie a Giorgio che mi ha portato letteralmente sulla cima-Silenzio, il rumore del mio ansimare affannoso. A un tornante uno striscione “Marco… si sente solo il tuo respiro!” e ancora “Il Carpegna mi basta!” a me mi avanza, dico dentro me. Non ce la faccio. Ancora un passo, avanti non mollare, ci siamo quasi, ce la faccio, ce la faccio. Cosi’ la gioia estrema dell’arrivare in cima, un attimo di godimento puro, e poi il senso di libertà della discesa svelta.
La discesa è stata un gioco piacevole e allegro al galoppo come cavalli liberi, mi sono sentita soddisfatta, ma la gara, la vera strada, era già andata… era fatta.
Arrivo insieme al mio compagno di corsa di oggi, quasi non riesco a parlare per la grande emozione che sento e che non riesco a spiegare. Così scrivo e spero che arrivi qualcosa a chi come me vivendo queste emozioni si riconosce nella gioia di arrivare, nell’incanto di alcuni momenti indimenticabili e nella capacità di affrontare ogni volta la salita senza che questa ci possa fermare.

Anna

La classifica completa con le foto della gara di tuttopodismo sono disponibili qui. Le foto di Valentina e di Jump sono invece qui.

I tempi dei nostri atleti all’11° Giro del Monte Carpegna

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